Museo civico "Ala Ponzone"
Sala del Caravaggio
Sala del Caravaggio
Caravaggio
Il soggetto rappresenta un san Francesco “in disperata meditazione sul Crocefisso” (Longhi 1943), il santo penitente è rappresentato all’aperto in luoghi selvatici, per accrescerne il senso di solitudine, particolarmente ricorrente negli ultimi anni del soggiorno romano del pittore.
La scena allude a un passo della Legenda maior di Bonaventura da Bagnoregio in cui si narra di come Francesco, tornato sul monte della Verna nel 1224, e aperto tre volte a caso il Vangelo sempre al racconto della Passione, mediti sul suo destino ultimo di totale conformità al martirio di Cristo che in seguito porterà alle stigmate, qui effettivamente ancora mancanti.
La profonda interiorizzazione della rivelazione, enfatizzata dalla presenza del crocifisso che sembra fermare le pagine del Vangelo imponendosi quale argomento primario di meditazione, rivela nel dipinto cremonese alcuni risvolti autobiografici in rapporto alle vicende personali del pittore. Caravaggio, infatti in seguito all’omicidio di Ranuccio Tomassoni (28 maggio 1606) era soggetto ad un ossessivo desiderio di espiazione.
Ciò risulta ancor più evidente quanto più si vanno confermando le recenti ipotesi in merito alla committenza del dipinto da parte di monsignor Benedetto Ala, cremonese, governatore di Roma dal 1604 al 1610, e in diverse occasioni protettore di Caravaggio, per mezzo del quale forse egli sperava di ottenere la revoca del bando capitale.
A supportare questa tesi è il volto del santo nel quale si possono facilmente riconoscere i tratti del pittore. Diventa quindi sempre più suggestiva l’ipotesi che attraverso questo quadro egli avesse voluto affidare al suo protettore una sorta di confessione del suo stato d’animo e della sua rassegnazione per un futuro che presagiva incerto e con poche speranze.
Nel decoro della cornice sia da riconoscersi lo stemma Ala (un leoncino rampante con ala di profilo), attraverso l’identificazione del primo possessore si possano poi facilmente declinare le successive vicende del dipinto fino al suo arrivo a Cremona e alla sede attuale.
Nel pur ricco materiale d’archivio che accompagna la vita e l’opera del Caravaggio (1571-1610), il San Francesco di Cremona è opera non documentata. Questo è il motivo per cui la critica è giunta relativamente tardi a riconoscere nella tela un capolavoro del pittore lombardo.
Il quadro entra nella collezione della pinacoteca nel 1879 grazie ad una donazione dal marchese Filippo Ala Ponzone.
Il quadro, secondo Roberto Longhi, sarebbe una copia da un perduto originale di Caravaggio. Come tale venne a lungo considerato ed esposto alla mostra milanese del 1951.
Fu Denis Mahon il primo a rivalutare in quell’anno il dipinto e a proporlo come autografo, condizionando anche il parere di Longhi stesso che da quel momento fu più possibilista circa l’autografia caravaggesca.