La storia socioeconomica di Cremona romana si riflette in modo significativo sulla sua edilizia, sia pubblica che privata. Quella pubblica rappresenta l’espressione di quanto l’autorità politica vuole manifestare ideologicamente, non solo a livello locale ma anche nei confronti di Roma; quella privata è tesa a sottolineare il prestigio delle élites tra i propri pari e verso i clientes.
Non esistono dati sulle abitazioni delle primissime fasi della città, anche se si può pensare a semplici strutture in legno e terra, con pavimenti in terra battuta e tetti in erbe palustri.
Della seconda metà del II secolo a.C. abbiamo l'importante testimonianza della domus di via Colletta, con un bellissimo pavimento in cocciopesto decorato e muro recante ancora sulla faccia interna parte della decorazione dipinta.
Intorno alla metà del I secolo a.C., il rinnovamento dell’edilizia privata è testimoniato da ritrovamenti di domus con pavimenti ancora in cocciopesto, mentre solo in età protoimperiale si afferma l’uso di mosaici, di affreschi raffinati, di elementi architettonici in pietra, di spazi aperti colonnati, di giardini con statue e arredi marmorei, di ninfei.
Nel II secolo d.C. si prediligono ambienti absidati e pavimenti musivi policromi con complessi giochi geometrici. Gli intonaci dipinti sono l’unica testimonianza superstite del periodo tra la fine del III e l’inizio del IV secolo d.C.
Molti reperti presenti a museo provengono dallo scavo dell’attuale piazza Marconi dove si trovava la domus del Ninfeo: un esempio eccezionale della complessità planimetrica che potevano raggiungere le abitazioni private.
La domus occupava metà dell'insula urbana (m80 x m80), sviluppata, con forte impatto scenografico, su più livelli terrazzati e distribuita intorno a spazi aperti colonnati, due dei quali accoglievano giardini con grandi vasche d’acqua e un ninfeo monumentale. Al piano superiore si accedeva ai cubicula e al triclinium, con affaccio panoramico sul fiume Po, mentre al piano terra si trovavano le cucine, le dispense e gli altri ambienti di servizio.
Alcune delle stanze o i portici che si affacciavano sul giardino erano a loro volta affrescati con raffigurazioni di arbusti, fiori e uccelli.
Il giardino era il centro della casa, luogo ameno dedicato all’otium. Questo spazio era ideale per lo sfoggio dello status del padrone di casa, con gli spettacolari giochi d’acqua in vasche e fontane.
Nel corso della bella stagione era d’uso cenare presso il ninfeo allietati dalla frescura e dalla suggestiva ambientazione.
L’arredo romano era costituito da pochi mobili: letti, posti nei triclini o nei cubicula, tavoli e tavolini, sgabelli e sedie, armadi e cassettiere. La loro struttura era per lo più in legno, quindi in materiale deperibile che difficilmente si conserva. Essi erano però decorati da elementi in bronzo, in metallo prezioso e talora in osso, rinvenuti in abbondanza nella domus del Ninfeo.
Caratteristiche erano le appliques, configurate a testa o busto di divinità, o con soggetti del mondo animale, fissati alla parte terminale dei letti e alle casse. Queste ultime, così come armadi e porte, erano munite di sistemi di chiusura a serratura che prevedevano l’uso di chiavi; per i cofanetti le chiavi potevano anche essere montate su anelli da portare al dito. Nella casa romana l’illuminazione era assicurata dalle lucerne, per lo più in terracotta, alimentate a olio.
Illuminati dalla luce delle lucerne e dei candelabri, immersi nell’elegante atmosfera della sala da pranzo (triclinium), i Romani, comodamente distesi sui letti triclinari, consumavano il loro pasto serale in un clima di raffinatezza e giovialità. Le domus cremonesi ci mostrano notevoli esempi di quanto servisse alla presentazione del cibo, ma anche per la cottura e per la conservazione degli alimenti. Sulla tavola veniva disposto il servizio da mensa, il ministerium, costituito da vasellame in terracotta, e, talvolta, in vetro o in metallo più o meno prezioso. Oggetti di particolare pregio potevano venire importati da prestigiosi centri di produzione, anche molto lontani, così come da lontano provenivano alcuni alimenti: i datteri, rari nel nord Italia in contesto di abitato, sono stati trovati invece in numero cospicuo nella lussuosa domus del Ninfeo.
Molto più comuni, legumi e cereali essiccati venivano conservati in grandi dolia in terracotta, talvolta parzialmente interrati per mantenere costante la temperatura, mentre il vino si conservava soprattutto in botti di legno. Le derrate destinate al commercio (vino, olio, salse di pesce, miele, olive e frutta) venivano trasportate attraverso rotte fluviali e marittime nelle anfore. Tali contenitori, sigillati con tappi di sughero o terracotta, avevano l’imboccatura stretta, due robusti manici, il corpo capiente, internamente rivestito di resine impermeabilizzanti, ed il fondo con puntale per la sistemazione nella stiva delle imbarcazioni; talvolta erano rivestite da una rete di paglia. Una volta giunti a destinazione, gli alimenti venivano travasati in contenitori più piccoli e nelle case abitualmente si conservavano in olle di terracotta o vetro, cullei di cuoio e cesti.
La vita dell’uomo romano era scandita da riti dedicati alle divinità. L’edificazione stessa della casa nasceva sotto buoni auspici grazie a un atto propiziatorio, che spesso consisteva nel seppellire un oggetto rituale.
Il potere delle parole e del malaugurio trovava espressione nelle defixiones, tavole in metallo che recavano maledizioni secondo un formulario codificato.
All’interno della casa, i Lararia erano spazi dedicati al culto degli antenati divinizzati, cui si chiedeva la protezione della salute, della prosperità e del successo della famiglia. In sacelli costruiti a imitazione dei templi venivano collocate le statuette di divinità diverse, davanti alle quali compiere libagioni su piccoli altari mobili o in muratura.